18. Che atteggiamento aveva Gesù di fronte alle pratiche penitenziali?

Quasi in ogni pagina del Vangelo ci imbattiamo in personaggi che si chiedono qualcosa su Gesù: da dove viene, come mai insegna con tanta autorità, da dove deriva il suo potere, perché fa miracoli, perché sembra opporsi alle tradizioni, perché le autorità lo respingono. Sono domande che si fecero allora e si sono continuate a fare lungo i secoli. A queste domande se ne sono aggiunte altre sul Gesù storico: che lingua parlava, che rapporto aveva con Qumran, è esistito davvero Ponzio Pilato?

Come in altre religioni, le pratiche penitenziali erano abituali anche nel popolo di Israele. L’orazione, l’elemosina, il digiuno, la cenere sopra il capo, il sacco: veste di un tessuto rozzo e ruvido indossato direttamente sulla pelle (detto anche cilicio: cfr. per es. 2 Sam 3,31; Ez, 7, 18; Mt, 11, 21; ecc.), erano alcuni dei molti modi con cui gli israeliti manifestavano il loro desiderio di cambiar vita e convertirsi a Dio (cfr. Tb 12,8; Is 58,5; Gl 2,12-13; Dn 9,3 ecc.).

Gesù, come unanimemente attestano gli storici e gli studiosi della Scrittura, mise al centro della sua predicazione l’annuncio del Regno di Dio e chiedeva anche la conversione come parte essenziale dell’annuncio: “Il tempo si è compiuto e il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15). La conversione (poenitentia in latino, metanoia in greco) alla quale Gesù chiama, consiste in un cambiamento profondo del cuore e ci esorta a dare frutti degni di penitenza (Mt 3,8), a cambiare la vita in modo coerente con questo mutamento interiore. Ciò vuol dire che convertirsi è qualcosa di autentico ed efficace solo se si traduce in atti e gesti. Gesù volle mostrare con la sua vita che Regno di Dio e penitenza non si possono separare. Praticò il digiuno (Mt 4,2), rinunciò alla comodità di un luogo stabile dove riposare (Mt 8,20), passò notti intere in orazione (Lc 6,12) e, soprattutto, donò volontariamente la sua vita sulla croce.

I primi discepoli di Gesù, seguendo i suoi insegnamenti, capirono che seguire Cristo implica imitare i suoi atteggiamenti. San Luca è l’evangelista che maggiormente sottolinea che il cristiano deve vivere come visse Cristo e prendere la propria croce ogni giorno, come Gesù aveva chiesto ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.” (Lc 9,23). In questo modo, i primi cristiani continuarono a utilizzare il tempio per pregare (Atti 3,1) e continuarono a praticare le opere di penitenza, come per esempio il digiuno (Atti 13,2-3), tenendo però presenti gli insegnamenti di Gesù riguardo al modo di compierle: “quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.” (Mt 6,16-18).

Successivamente, alla luce del valore della morte di Cristo sulla croce, per la quale gli uomini sono redenti dai loro peccati, i cristiani capirono che le pratiche penitenziali - soprattutto il digiuno, l’orazione e l’elemosina - e qualsiasi sofferenza non solo si ordinavano alla conversione ma potevano associarsi alla morte di Gesù come mezzo per partecipare al sacrificio di Cristo e corredimere con lui. Così si trova negli scritti di Paolo: “do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24) e così si continua a vivere nella Chiesa.