35. Come si spiega la resurrezione di Gesù?

Quasi in ogni pagina del Vangelo ci imbattiamo in personaggi che si chiedono qualcosa su Gesù: da dove viene, come mai insegna con tanta autorità, da dove deriva il suo potere, perché fa miracoli, perché sembra opporsi alle tradizioni, perché le autorità lo respingono. Sono domande che si fecero allora e si sono continuate a fare lungo i secoli. A queste domande se ne sono aggiunte altre sul Gesù storico: che lingua parlava, che rapporto aveva con Qumran, è esistito davvero Ponzio Pilato?

La resurrezione di Cristo è un avvenimento reale che ebbe manifestazioni storicamente comprovate. Gli Apostoli dettero testimonianza di quello che avevano visto e udito. Verso l’anno 57 San Paolo scrive ai Corinzi: “Perché vi trasmisi in primo luogo lo stesso che io ricevetti: che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito e che resuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture; e che apparì a Cefa, e dopo ai dodici” (1 Co 15, 3-5).

Quando ci avviciniamo a questi fatti per cercare il più obbiettivamente possibile la verità di quello che successe, può sorgere una domanda: da dove deriva l’affermazione che Gesù è resuscitato? È una manipolazione della realtà che ha avuto un'eco straordinaria nella storia umana, o è un fatto reale che continua a risultarci così sorprendente e incredibile così come risultò allora ai suoi storditi discepoli?

A queste domande è possibile cercare una risposta ragionevole indagando su quali potevano essere le credenze di quegli uomini sulla vita dopo la morte, per valutare se l'idea di una resurrezione come quella che raccontavano fosse una possibilità logica nei loro schemi mentali.

Per cominciare, nel mondo greco ci sono riferimenti a una vita dopo la morte, però con alcune caratteristiche singolari. L’Ade, motivo ricorrente già dai poemi omerici, è il domicilio della morte, un mondo di ombre che è come un vago ricordo della dimora dei viventi. Però Omero mai immaginò che nella realtà fosse possibile un ritorno dall’Ade. Platone, da una prospettiva diversa, aveva speculato attorno alla reincarnazione, ma non pensò come qualcosa reale una rivitalizzazione del proprio corpo, una volta morto. Cioè a dire, sebbene si parlasse a volte della vita dopo la morte, mai veniva in mente l'idea della resurrezione, cioè a dire di un ritorno alla vita corporale nel mondo presente da parte di qualcuno.

Nel giudaismo la situazione è in parte diversa e in parte comune. Lo sheol di cui parla l’Antico Testamento e altri testi giudei antichi non è molto diverso dell’Ade omerico. Lì la gente è come addormentata. Però, a differenza della concezione greca, ci sono porte aperte alla speranza. Il Signore è l’unico Dio, tanto dei vivi come dei morti, con potere tanto nel mondo di sopra come nello sheol. È possibile un trionfo sulla morte. Nella tradizione giudaica si manifestano alcune credenze in una certa resurrezione, almeno da parte di alcuni. Si attende inoltre l’arrivo del Messia, ma entrambi gli avvenimenti non appaiono collegati. Per qualsiasi giudeo contemporaneo di Gesù si tratta, almeno di principio, di due questioni teologiche che si muovono in ambiti molto diversi. Si confida nel fatto che il Messia sconfiggerà i nemici dei Signore, ristabilirà in tutto il suo splendore e purezza il culto del tempio, stabilirà il dominio del Signore sul mondo, però mai si pensa che risusciterà dopo la sua morte: è qualcosa che non passava proprio nella immaginazione di un giudeo pio e istruito.

Rubare il suo corpo e inventare che fosse resuscitato con quel corpo, per dimostrare così che era il messia, risulta impensabile. Nel giorno di Pentecoste, secondo quanto riferiscono gli Atti degli Apostoli, Pietro afferma che “Dio lo resuscitò rompendo i vincoli della morte”, e in conseguenza conclude: “Sappia con sicurezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2,36).

La spiegazione di tali affermazioni è che gli Apostoli avevano contemplato qualcosa che mai avrebbero immaginato e che, malgrado le loro perplessità e le burle che con ragione supponevano andassero a suscitare, si vedevano in dovere di testimoniare.