Come visse la sua condizione di sacerdote durante la guerra?

In vari modi, in funzione delle circostanze esterne che durante il conflitto furono diverse.

In vari modi, in funzione delle circostanze esterne che durante il conflitto furono diverse.

Durante la sua permanenza a Madrid, dal 18 luglio 1936 fino a quando si rifugiò nella Legazione dell’Honduras, non trovò altro rimedio che rinunciare ai segni esterni del suo sacerdozio a causa della persecuzione religiosa e, come molti sacerdoti in quelle circostanze, si vide obbligato a celebrare l’Eucaristia clandestinamente.

Quando l’occasione lo richiedeva, non esitò a manifestare in tutte le forme la sua condizione sacerdotale per assistere spiritualmente chi lo chiedeva, sapendo che così metteva a rischio la sua vita, dal momento che poteva essere tradito e denunciato per questa ragione.

“Il 28 agosto Manolo si portò a casa un suo cugino, di nome Juan Manuel. La mattina di domenica 30 agosto lo misero al corrente delle precauzioni prese per il caso di una perquisizione. Fecero una prova, senza prevedere quanto sarebbe stata opportuna. Poche ore più tardi, mentre Manolo era fuori di casa e Martina stava preparando il pasto, si udì un gran vociare sulle scale e poco dopo suonò il campanello. Il Padre, Juan e Juan Manuel si ritirarono cautamente verso la scala di servizio mentre Martina, con calma, si dirigeva alla porta. I miliziani cercavano di entrare per fare la perquisizione e Martina li tratteneva gridando, molto immedesimata nella sua parte di sorda: "Qui non c'è nessuno. Sono sorda. Non sento niente".

Per la scala di servizio i tre salirono in solaio ed entrarono nel primo bugigattolo che trovarono aperto: era uno spazio angusto che fungeva da soffitta e deposito di carbone. Stavano piegati in due perché l'altezza non consentiva di stare in piedi. Erano le prime ore del pomeriggio e il calore si fece asfissiante. Seduti fra polvere, ragnatele e carbonella, stavano immobili in attesa della fine. Qualsiasi rumore li poteva tradire e, se fossero stati scoperti, la cosa più probabile era che li fucilassero (54).

Dopo diverse ore di attesa si accorsero che stavano già ispezionando il piano sottostante al solaio. Il Padre, nel dubbio che Juan Manuel, che stava con loro da meno di due giorni, si fosse reso conto o meno della sua condizione, gli disse: “Sono sacerdote”. Poi, rivolgendosi a entrambi, aggiunse: “Stiamo in un momento difficile; se volete, fate un atto di contrizione e io vi do l'assoluzione”.

Inspiegabilmente, dopo aver perquisito tutta la casa, non entrarono in quella soffitta.

Juan Manuel ricevette l'assoluzione. Fu un istante che dominò tutti i suoi ricordi di quell'epoca: "Non ho mai dimenticato il mio incontro con don Josemaría — confessa —, dato che tutti pensavamo che fossero gli ultimi momenti della nostra vita (...). Ebbe molto coraggio a dirmi che era sacerdote, poiché avrei potuto tradirlo e, nel caso fossero entrati, avrei potuto cercare di salvare la vita denunciandolo"

—Cfr. VÁZQUEZ DE PRADA, A., Il Fondatore dell’ Opus Dei. Biografia di San Josemaría Escrivá, Vol. II: Dio e Audacia, Leonardo International, 2003, pp.11

All’arrivo alla Legazione dell’Honduras poté svolgere con minore incertezza la sua attività sacerdotale, predicando e celebrando la Messa per coloro che erano rifugiati in quel luogo.

Dalla Legazione continuò a scrivere lettere ai suoi amici e conoscenti, usando diverse parole chiave a causa della censura postale. Per esempio, per riferirsi a Gesù Cristo scriveva “Don Manuel”, e per parlare di se stesso “il nonno”.

A partire dal settembre 1937 ottenne una documentazione che gli dava una certa libertà di movimento a Madrid – sebbene la sua vita continuasse ad essere in pericolo – e predicava gli esercizi spirituali, sempre in forma clandestina e prendendo numerose precauzioni. Assisteva alcune comunità religiose che si trovavano rifugiate in case private e amministrava sacramenti come quello della Riconciliazione e l’Unzione degli infermi, facendosi passare per medico. In questo modo, per esempio, amministrò l’Olio santo al padre di Alvaro del Portillo.

Le circostanze cambiarono durante la sua permanenza a Pamplona e poi a Burgos dopo aver attraversato i Pirenei a piedi. Risiedette un anno e tre mesi nella capitale castigliana, dal gennaio 1938 al marzo 1939, e da lì dispiegò un’intensa attività pastorale spostandosi per assistere le persone che conosceva, molte delle quali ripartite tra i diversi fronti di guerra.

—Cfr. VÁZQUEZ DE PRADA, A., Il Fondatore dell’Opus Dei. La biografia di San Josemaría Escrivá, Vol. II: Dio e Audacia. Leonardo International, 2003, Cap. X.

Sulla permanenza di San Josemaría a Burgos nel 1938 dice Pedro Casciaro:

“Dedicò molto tempo a prendere contatti con i membri dell’Opus Dei che erano disseminati per i fronti di guerra e a seguirli spiritualmente. Questo fatto lo portò a fare frequenti viaggi per la penisola, in pessime condizioni di salute, in mezzo alle scomodità e in condizioni di estrema povertà”. (CASCIARO, P., Al di là dei sogni più audaci. Gli inizi dell’Opus Dei accanto al fondatore. Ares, Milano 1995).