“Credevo che avrei avuto paura, e invece no”

Antonio Segura è morto il 23 novembre dopo tre settimane di cure palliative. EL MUNDO, quotidiano di Madrid, ha raccolto la testimonianza dei suoi ultimi giorni, il suo testamento di vita e di morte. “La morte è la cosa più naturale. Bisogna andarsene senza traumi”, ha detto, nel suo letto d’ospedale.

Aveva 69 anni appena compiuti, una moglie giovane, tre figli, tre nipoti, due polmoni corrosi dal cancro, la chiavetta della morfina, i giorni contati e nessuna paura.

Nessuna paura di crollare. Né degli addii. Né di parlare della sua morte.

Per due settimane questo giornale ha raccolto la testimonianza di Antonio Segura Cabral, un malato terminale sottoposto alle cure palliative, che sapeva di essere prossimo alla morte, e ha deciso di rompere un tabù ancora vigente in Spagna: parlare della morte.

Nessuno cerchi lacrime nel suo racconto. Né scene di agonia, né gemiti sommessi. Troverà invece u un uomo incredibile. Che per la prima volta racconta a un giornale il suo testamento etico.

- Ci vediamo lunedì, Antonio?

- Credo di no.

- Comunque, prima di venire ti telefono.

- Noto un peggioramento da un giorno all'altro, dalla mattina alla sera, da un'ora all'altra... Suppongo che intendano sedarmi. Ho detto che l'unica cosa che mi preoccupava era morire con una sensazione di asfissia. Mi hanno detto che non sentirò niente. Ora sono tranquillo.

- A che cosa pensi ora?

- Alla fortuna che ho... Spero che a qualche persona serva quello che ti sto per raccontare.

Antonio è morto in pace domenica scorsa alle 18, 10 dopo cinque lunghi pomeriggi di conversazione. Questo cronista ricorda la delicatezza dell'ultimo bacio. Ricorda anche la stretta di mano da forte di un uomo consapevole che non ti vedrà più.

- Continuo a non capire.

- È molto semplice. In un certo senso, ti arrendi. Non si ha paura. né angoscia. La morte è la cosa più naturale della vita. Bisogna andarsene senza traumi. Non voglio drammi tra i miei. Ricordino invece le cose positive.

È questa la vita spiegata da lui ma senza di lui.

Martedì 11 novembre

Ospedale Centro di Cure Laguna, Madrid. Primo piano. Camera 113. Appena entrato a destra, Antonio è seduto sul letto con un angolo di 45 gradi, semi-sollevato, come un ferito che si vede nei film. Dalla finestra spunta un sole da cartolina, d'autunno, che distilla una luce color pesca.

Il paziente è una strana mescolanza di fragilità e di resistenza. Pilar, sua moglie – senza la quale Antonio non si spiegherebbe –, fa le presentazioni e ci lascia soli. L'attenzione del giornalista è attratta da uno degli oggetti e lo prende. Il paziente ci scherza su e si scusa: sul tavolo c'è un giornale della concorrenza.

- Guarda la cosa dal lato buono: sta per morire un lettore di ABC; non uno dei vostri.

Ridiamo. Antonio, con il suono di un motore logoro.

Sarà una costante di questi giorni: la risata soffocata di Antonio, come quelle raffiche di coriandoli che non lasciano intravedere le nubi.

"Un puntino. Tutto è cominciato quando ho visto il puntino sulla lastra. Da qualche tempo mi sentivo molto stanco, con strani sintomi, senza appetito, con brividi frequenti. Nell'aprile del 2013 mi hanno mandato alcune analisi di controllo e lì c'era il puntino. Mi sono seduto di fronte al medico e gli ho detto di andare al sodo, di non raccontarmi storie. Così ho saputo di avere un tumore".

Mi racconta di quando nacque a Olivenza e delle sue passeggiate in bicicletta a Salamanca con il fratellino dietro, di quando si sposò con la donna della sua vita negli anni '70 e della sua vita professionale da ingegnere navale, degli anni vissuti a Bilbao e del conforto dei figli.

Niente smarrimenti o tormenti in Antonio. Sorso dopo sorso, va trangugiando la spremuta. E si beve la vita.

- Non la finisci?

- No.

- Se ne vuoi ancora te l'avvicino.

- Ce la faccio da me, non ti preoccupare.

- Bene.

- Bisogna farmi di tutto. Sbucciare la frutta, lavarmi, farmi passeggiare, portarmi in bagno... In una sola settimana ho notato che la curva punta al basso, rapidamente. Però, stranamente, me la sto prendendo con sportività. Mi aiuta moltissimo la fede: ho la grande speranza che, quando tutto questo finirà, troverò qualcosa di pienamente soddisfacente. Credo che Dio mi stia dando la forza. Per i credenti è più facile: come oltrepassare una porta. Pensavo che avrei avuto paura, e invece no. Pensavo che sarei stato preda dell'angoscia, ma niente di tutto questo... Ho scelto di non isolarmi; e invece, di godere di tutto e di tutti: della famiglia, degli amici, di questa chiacchierata... Terminata la giornata, sono stanco di vivere. Ma sto meglio che mai. Non ho nessun rammarico. Ho molta pace.

L'apparecchio dell'ossigeno gorgoglia come uno stufato che cuoce a fuoco lento. La morfina non fa rumore, ma entra nel suo circolo sanguigno ogni quattro ore. Le mani asciutte di Antonio sono tralci vivissimi. Indicano qualcosa. Allora facciamo silenzio per un po'.

- Che cosa guardi?

- Com'è possibile che sto per morire e godo tanto di questa luce e di questi alberi?

- Già – sorridiamo con lui.

- Dimmi tu, perché uno dev'essere in punto di morte per godere di queste cose? Non ti seccare... Non ti seccare...

Mercoledì 12 novembre

"Non mi piace essere un sentimentaloide, ma oggi mi sono svegliato alle 5,40 e sono rimasto seduto a letto a guardare mio figlio Saverio, che dormiva nella poltrona-letto qui accanto. Era buio. Sono rimasto un'ora a guardarlo".

Il tempo scorre tra le dita. Il tempo ha una connotazione diversa con Antonio, dove orologio sono otto lettere senza senso. Il tempo è un'ondata che arriva e ti fa crollare il castello di sabbia che sei stato ore a costruire. Sempre il tempo. Dice Antonio che gli "manca tempo". Che lui non si è mai svegliato all'alba e ora sì. All'alba, con le prime luci, i suoi occhi si accendono.

"Quest'estate abbiamo iniziato una nuova serie di chemioterapia perché la macchia era cresciuta. Notavo che peggiorava. Sono andato a trovare la dottoressa: 'Bianca, io non mi oppongo a niente. Ma se ci sono ben poche speranze, io non voglio questa fine'. Lei si sentì sollevata: 'Ebbene sì, a questo punto la chemio ti farebbe più male che bene'. E la chemio fu sospesa. Da quel momento ho capito che cominciava la fine. Sono arrivato qui alla fine di ottobre. Qui non vieni a curarti. Ma alla cosa più difficile di tutte: a morire".

Pilar gli dice di sorridere per la fotografia, e quando sorride gli dice che è "più bello": deve rinnovare la carta di identità tra poco e il cuscino bianco fa le veci del fondale della cabina per le istantanee.

- Non ti piacciono le foto, non è vero?.

- Mi hanno dato un appuntamento il 4 dicembre per la carta d'identità, ma non so neppure se allora sarò vivo.

Oggi non ha aperto la biografia di Isabella la cattolica, che sta leggendo. Di buon mattino è venuto suo fratello, José María, con il quale ha fatto le prime esperienze dell'infanzia e del mondo. A una infermiera dice di avere un ballo in sospeso. Ha preso alcuni appunti. Inaugura il pigiama.

"Ormai nessuno si meraviglia quando mi sente parlare così. Dire che sto godendo. Affrontare la morte come se non fosse qualcosa di proibito. Può darsi che domani non ci sarò più, ma mi state regalando dei momenti incredibili. Credo che tutti noi perdiamo tempo in sciocchezze. Per davvero. Ho cominciato a chiedere perdono a tutti quelli che mi stanno attorno. Mi indigno per certe cose che ho fatto male. Vivere è meno complicato di quel che pensiamo. Anche morire. Una cosa mi è chiara: non so come mai possiamo credere di essere più degli altri se non siamo nessuno".

C'è chi dice che siamo quel che facciamo; altri, che siamo quel che leggiamo. Se siamo come gli oggetti che ci stanno attorno, Antonio è un'agenda, una lanterna, una boccetta di colonia, un ventaglio, i ritratti dei nipoti, un'immagine della Madonna, un libro e una barchetta di carta che il suo amico Luigi, ingegnere navale, ha regalato a questo bimbo di 69 anni.

- Qualche altro oggetto?

- Ho una bottiglietta di vino de La Rioja conservata lì – sorride, sorridiamo, ancora i coriandoli di Antonio –. Quando posso, ne bevo un sorso per mangiare, soltanto un sorso. Bisogna conservare i piaceri possibili sino alla fine. Ne vuoi un poco?

Alla fine brindiamo. Fino a sbronzarci brindiamo. Con acqua.

Giovedì 13 novembre

Su La 2 oggi hanno fatto vedere un documentario sugli orsi polari e Antonio si è messo a ibernare per un po', come il plantigrado della televisione. La siesta, che prima era una eresia, ora è un narcotico e una liturgia.

"Dico a tutti che sto per finire. Me ne accorgo. Mi hanno detto che non sarà un'asfissia agonica, ma un transito dolce. Non sentirò niente. Avrò preso tanti farmaci palliativi che il corpo non risponderà. Ormai siamo più o meno d'accordo su tutto. Quello che ora mi resta da fare è godere di tutto".

Godere dell'amico del piano di sopra, che va a visitare appena può. "L'uomo si emoziona molto. E sembrava che io sarei durato di meno. Siamo dove siamo. Bisogna rendersene conto".

Godere della memoria. "La scuola dei maristi stava nella zona opposta di Salamanca. Spesso mio fratello e io combinavamo qualche marachella. Te ne racconto qualcuna...".

Godere delle visite e degli addii: "Ogni giorno c'è una sorpresa. Oggi mi ha telefonato il ministro Pedro Morenés, con il quale ho lavorato tempo fa, che si è informato della mia salute".

Godere dei cinque sensi: "Ho ancora appetito, ma cerco di frenarmi, perché ho sempre più problemi per andare in bagno. Qualunque cosa mangio è come se avessi divorato un bue".

Godere di questa chiacchierata: "Già te ne vai?".

Antonio ha sempre più difficoltà a respirare. Come quei ciclisti che a testa bassa man mano che vanno in cima perdono vigore. Ma stringono i denti e pedalano.

Dieci giorni fa, quando stava chiaramente meglio, la dottoressa l'ha guardato negli occhi e gli ha fatto la domanda definitiva: "Antonio, vuoi tornare a casa per qualcosa? È indispensabile che ritorni per qualcosa? Diccelo ora".

"Le ho risposto di no... Ora sai il senso della domanda. Succederà qui. Bene: ho bisogno che sappiano mille volte come mi trovo bene qui, quanto sono felice".

Pilar ci accompagna all'ascensore. E ci parla dei nipoti. E fino a che punto Antonio è un buon paziente, che non vuole dare mai fastidio. Pilar non ha voglia di piangere, ma di ridere. E riceve un bacio – con buone intenzioni e come palliativo – che sicuramente non "pallia" niente. E parla come se dovesse far coraggio lei al visitatore e non al contrario. Incredibile. Il fatto è che nessuna rivista mette mai in copertina una donna di questo calibro.

Martedì 18 novembre

- Antonio, oggi come stai?

- La vita sta andando via. Mi accorgo che sta andando via. Però il mio stato d'animo continua a essere relativamente buono. Tanto che a volte mi domando: "Non sarò un insensato?".

- Com'è andato il fine settimana?

- Piuttosto male. Non c'era verso di star meglio. Ora invece sto meglio. Ogni volta che spunta un nuovo giorno mi dico: ecco, comincia un'altra giornata. Vediamo se la termino.

- Vuoi che parliamo?

- Certo che voglio.

Tra sabato e domenica ha mangiato solo mezza polpetta e un po' di frutta. Tieni presente che in quest'ultima fase ha perduto otto chili e non si è mai sentito così pieno. L'alimento di Antonio sono gli abbracci. Abbracci grandi e calorosi, rotondi, come forme di pane appena sfornate.

Un cuore con la mollica. "Sono un privilegiato. Molte sono le persone in una situazione più deleteria della mia. Qui c'è una paziente giovane, con tre bambini, che si ciba di palliativi. Io l'ho vista qui con i suoi bambini mentre facevano i compiti. Lei non ha concluso la sua vita, io invece l'ho compiuta. Sì, sono stato un privilegiato. Ho vissuto bene. Ho tre figli meravigliosi che mi adorano. Una moglie incredibile. In questo ospedale mi hanno trattato con grande generosità. Tutto questo mi rasserena, mi tranquillizza".

Prima di farci entrare, Pilar ci avverte: "Questo fine settimana sono morti in quattro. Antonio, però, non lo sa. Non ditegli niente perché non si rammarichi".

Appena entrati, Antonio ci informa: "Sapete? Questo fine settimana sono morti in quattro... Ma il fatto è che la settimana precedente ne erano morti nove. Nasciamo per morire. Chi non capisce questo non capisce nulla".

Venerdì 21 novembre

C'è una quiete irreale nel corridoio che stiamo percorrendo. E qualcosa di eroico nell'uomo che ci riceve malgrado tutto. Alzandosi con uno sforzo epico. È da tre giorni che non veniamo, ma sembrano passate tre settimane.

- Abbiamo 10 minuti.

- Come vuoi.

"Oggi ho detto a Pilar di limitare le visite". Antonio prende un po' di ossigeno, respira a fatica, chiede una pausa. "Visite, soltanto quelle dei miei figli, di mio fratello... e le tue. Ho preso un impegno e voglio raccontarti il più possibile".

Quando uno credeva di aver già visto tutto dell'esempio inestimabile dell'uomo che muore, Antonio si preoccupa di un problema di salute (niente di serio) di colui che ha davanti.

"Ho chiesto di diminuire la morfina. Perché mi provoca una specie di sogno vigile che non mi permette di pensare con lucidità e ho la sensazione che mi tolga la poca forza che ho".

Era nato un "4 novembre del 1945". Suo padre era "militare e chimico" e sua madre "lavorava in casa". Giocava "alle auto" con suo fratello José María. Si era sposato nel 1973 e "le foto lo dimostrano". È "orgoglioso" della "educazione umanista" dei figli. Pilar è stata il "motore" di tutto. "Essere nonno è nascere una seconda volta"... Uno starebbe tutta la vita a prendere appunti come questi.

- Ho terminato un ciclo. Sono sul punto di cominciarne un altro. E sono molto sereno.

- Verrò martedì.

- Molto bene.

Nel salutarci ci stringiamo sempre le mani. Con una stretta pari a quella di chi vuole penetrare nell'altro. Guardandoci negli occhi con calore. Non so perché, oggi ci siamo dati un bacio.

Domenica 23 novembre

Antonio è morto nella sua camera dell'Ospedale Centro di Cure Laguna senza apparenti traumi e in assoluta serenità. È successo domenica 23 dicembre, dopo le sei del pomeriggio.

Lunedì, nella camera ardente di Las Rozas, filtra un sole settembrino. Nella sala 4, quasi nessuno ha voglia di piangere: alla fin fine stiamo parlando di Antonio, che tutto questo ce lo ha detto chiaramente.

"Mi piacerebbe che mi ricordassero come una buona persona, leale, che si è impegnato a dare. [...] Non voglio drammi. 'Assente' è una parola molto relativa. Da qualche parte sarò".

* * *

Diverse cose sono rimaste in sospeso tra noi, ricordi?

Spero di aver messo tutto quel che mi hai raccontato, Antonio. Spero di essere stato fedele ai tuoi ultimi pomeriggi. Spero che la tua testimonianza "serva a qualcosa" – come tu volevi – a quelli che sanno che non si torna indietro.

Poche cose, in questa professione, hanno tanto senso come l'averti conosciuto. In ogni caso, non dimenticare una cosa: là dove ti trovi, mi devi un bicchiere di vino.

Pedro Simón // El Mundo