La Repubblica: "Dan Brown ha sfidato l'Opera e l'Opera ha accettato la sfida"

"Il Codice da Vinci con i suoi quaranta milioni di copie vendute ha stabilito un prima e un dopo per la vita dell’istituzione". Articolo pubblicato su "La Repubblica" del 7 marzo 2006.

Juan Manuel Mora, responsabile per la comunicazione dell'Opus Dei, e Brian Finnerty, portavoce dell'Opus Dei negli Stati Uniti, si erano dati appuntamento nel 2003. Erano alla ricerca di una strategia che promuovesse l'immagine dell'Opus Dei, negli Stati Uniti in particolare, dove, nonostante cospicui investimenti (come il grattacielo nel pieno centro di New York), l'organizzazione era ancora quasi sconosciuta. Dopo la spettacolare canonizzazione del fondatore, San Josemaría Escrivá, che il 6 ottobre del 2002 aveva richiamato a Roma più di 300.000 persone, l'interesse per l'Opera era sembrato scemare. Mora e Finnerty passeggiavano per la Quinta Avenue, quando la risposta si presentò ai loro occhi dalla vetrina di una libreria: le pile di volumi del “Codice da Vinci”, il romanzo di Dan Brown appena pubblicato. “Conoscevamo entrambi l’argomento”, è il commento di Finnerty, “e abbiamo convenuto che il successo di Dan Brown ci avrebbe tenuto occupati per un bel po'”.

Per l'Opus Dei, Il Codice da Vinci segna un prima e un dopo. Non e possibile ignorare un romanzo che vende quaranta milioni di copie, quando in esso si ha il ruolo del cattivo. È questo ciò che è accaduto all'Opus Dei, un’organizzazione la cui immagine verso l'esterno è stata sempre avvolta nel mistero: dalle pratiche di automortificazione alla vita “settaria” in residenze, passando dalla propensione alla segretezza, dal legame storico con il franchismo, alle presunte mete in ambito politico, l'Opera, come la chiamano i suoi membri, non ha mai goduto di una buona stampa, particolarmente negli ambienti progressisti e nei paesi a maggioranza protestante, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Sono molti, sebbene restino una minoranza, gli ex seguaci che accusano l'Opus Dei di infiltrare le elite del mondo del lavoro e di “fare il lavaggio del cervello” a coloro che entrano nei loro ranghi. A partire dal 2003, l'Opus Dei ha scelto, per dissolvere questa sua “leggenda nera”, di aprirsi e di mostrarsi. I suoi dirigenti sono ora disponibili a parlare di ogni cosa.

Di denaro, (un patrimonio valutato in 2,8 miliardi di dollari) o del cilicio (una fascia di cuoio irta di uncini metallici che i numerari portano per due ore al giorno legata alla coscia). Chi scrive ha visitato i due Villa Tevere a Roma e Murray Hill a New York, intervistando varie decine di membri dell'organizzazione, tra i quali dirigenti, portavoce, numerari e soprannumerari “della base", per conoscere l'organizzazione dall'interno e meglio cogliere la dimensione di una metamorfosi imputabile, tra altri fattori, al maggior successo editoriale degli ultimi decenni. Il “malvagio” de Il Codice da Vinci è il vescovo Manuel Aringarosa, presidente generale dell'Opus Dei. Aringarosa dispone di un sicario, un monaco albino chiamato Silas, numerario dell'Opus Dei, che commette omicidi su ordine del vescovo. All'organizzazione mancava solo questo. E' sempre stata criticata, dall'esterno e dall’interno della Chiesa cattolica. Il suo modesto seguito negli Stati Uniti aveva avuto l'immagine appannata dall'arresto di Robert Hanssen, un agente dell'Fbi che spiava per conto di Mosca: si era scoperto che Hanssen era membro dell'Opus Dei. Il Codice da Vinci, con Aringarosa e il monaco Silas rappresentava la ciliegina sulla torta. Le cose si prospettavano male.

Tre anni dopo, è lo stesso Juan Manuel Mora a riconoscere che il fenomeno del “Codice da Vinci” non è stato del tutto negativo” per l'Opus Dei. In realtà, ha dato loro una pubblicità a livello mondiale, che abilmente Mora e i suoi compagni (di gran lunga il miglior gruppo che si occupa di comunicazione di tutto il cattolicesimo, per dirla con le parole di John Allen, corrispondente dal Vaticano del National Catholic Reporter e autore di un libro sull’Opera) hanno saputo utilizzare a proprio vantaggio. La strategia dell'Opus Dei, elaborata dal gruppo per la comunicazione con l'appoggio del prelato, Monsignor Javier Echevarría, è, in principio, semplice: messaggi positivi, no al boicottaggio o alle battaglie legali e massima trasparenza. Echevarría ha intuito che l'idea di approfittare della visibilità offerta dal romanzo, partendo dalla massima americana, secondo la quale “se ti danno un limone, fai della limonata”, era sensata: egli stesso aveva conosciuto Mons Escrivá e l'Opus Dei grazie a un articolo duramente critico dell'organizzazione pubblicato su una rivista universitaria. Forse non aveva però considerato il fatto che un'operazione nata dall'urgenza e dalla necessità poteva anche ripercuotersi all'interno della stessa organizzazione. Dopo trent’anni di discrezione, o “segretismo”, l'improvvisa apertura allo sguardo pubblico sta in effetti cambiando gli atteggiamenti degli 85.000 membri e dei milioni di persone che dimostrano un interesse particolare per l'unica Prelatura Personale del cattolicesimo. Non cambiano, naturalmente, i principi fondatori e la stretta rigida disciplina religiosa, ma sì la posizione dell’Opus Dei al resto del mondo.

Diversi numerari (i celibi residenti nei centri dell’Opus Dei) e suprannumerari (i coniugati residenti nelle proprie case) hanno tutti affermato di trovarsi più a loro agio ora rispetto a prima, quando parlano dell’organizzazione.

E' cambiata la stessa composizione di chi fa parte dell'Opera: i suoi 85.000 membri non sono più maggioranza spagnoli, nè uomini, nè prevalentemente numerari celibi. Se si dovesse definire statisticamente il membro “medio” dell'Opus Dei (oggi), esso sarebbe una donna europea, sposata e con figli.

II vicario dell'Opus Dei negli Stati Uniti, don Thomas Bohlin, è dell'avviso che Il Codice da Vinci abbia rappresentato, in maniera casuale, il culmine di un processo in gestazione da tempo. Questo processo era partito dallo Statuto Giuridico della Prelatura (1982); dalla riforma del Diritto canonico (1983), che aveva facilitato l’inserimento dell'Opera nella trama istituzionale cattolica; e che si era consolidato con la beatificazione (1992) e la canonizzazione (2002) di Escrivá. Per Bohlin, l’aspetto più simbolico è stata la costruzione di un edificio nel centro di New York: “Il grattacielo di Murray Hill è il simbolo della nostra sfida globale, della nostra volontà di stare nel mondo, del nostro desiderio di essere visibili. San Josemaría era solito dire che dovevamo avere un piede a New York, perchè era il cuore del Pianeta e la sia capitale da un punto di vista del lavoro, e il nostro obiettivo è la santificazione del lavoro. Sono sicuro che Dan Brown non avrebbe scritto quel libro se non esistesse quel grattacielo. Ciò che è importante, è che qui ci siamo, siamo visibili e vogliamo che di noi si parli”, scherza, “anche se bene”.

En el gobierno del Opus Dei, el prelado cuenta con la colaboración de un consejo de mujeres, la Asesoría Central, y otro de hombres, el Consejo General. Ambos tienen su sede en Roma.

L’edificio, alto diciassette piani, è modesto nel contesto newyorkese. La sua costruzione è stata ultimata nel 2001 e accoglie la sede del Vicario negli Stati Uniti, la residenza di circa sessanta numerari, uffici vari e un centro conferenze utilizzato ogni anno da circa diecimila persone, oltre a una chiesa e a una cappella. E’ arredato con sobria eleganza, a livello di un albergo a quattro stelle. E’ costato complessivamente settanta milioni di dollari, metà dei quali provenienti da una singola donazione e il resto da più di cinquemila piccoli contributi.

Resta da vedere quale sarà l’impatto del film, la cui prima è prevista per il 19 maggio e i cui produttori, la Columbia-Sony, non hanno voluto ricevere i rappresentanti dell'Opus Dei, né stemperare il contenuto del romanzo in sede di sceneggiatura. Finora sembra che la strategia dell’Opus Dei stia funzionando a dovere. La decisione di dialogare con gli editori de Il Codice da Vinci, invece di agire coi misure drastiche, è sfociata in una sorta di collaborazione. “Spero che dopo il fenomeno da Vinci, o legato ad esso, si parli anche di un fenomeno Opus Dei”, dice Bill Barry, vice presidente di Doubleday, una delle case editrici del conglomerato Random House-Bertelsmann.

E’ stata la Random House a pubblicare Il Codice da Vinci.

Ed è la stessa casa editrice a pubblicare anche Opus Dei: “Uno sguardo obiettivo tra i miti e la realtà della forza più controversa della Chiesa Cattolica”, il libro del sopraccitato John Allen. Inoltre, una settimana prima della prima del film Il Codice da Vinci, farà uscire “Cammino”, l'opera fondamentale di San Josemaría Escrivá.

“Il lettore statunitense troverà nello stesso espositore il romanzo di Dan Brown in edizione di lusso, il romanzo in paperback con foto del film, la sceneggiatura del film, il libro di Allen e il libro di an Josemaría” spiega Barry. Strani accostamenti che, tuttavia, non preoccupano l’editore.

«Il nostro lavoro è vendere libri e il romanzo di Brown ha aperto il mercato; sarà il consumatore a decidere”, aggiunge.

Non è stato facile stabilire la politica di “apertura e dialogo”. L'Opus Dei è un'istituzione disciplinata, ma non è in genere il prelato ad imporre le proprie decisioni. Il vescovo Echevarría, che risiede a Roma, si appoggia per governare a due organismi: il Consiglio Generale, composto da sette uomini, e il Consiglio Centrale o Assessorato, che è composto da otto donne. Ambedue funzionano in maniere totalmente indipendente e separata e hanno, almeno formalmente, la stessa autorità. Molti membri dell'Opus Dei si sono sentiti offesi da Il Codice da Vinci e hanno chiesto di intervenire. «In un primo momento, credo che ci fossero tre posizioni distinte e di peso analogo”, rammenta Brian Finnerty. “Un 33 per cento sollecitava una denuncia formale, un 33 per cento scommetteva a favore della comunicazione e del dialogo e il restante 33 per centro preferiva non agire e lasciar passare la tempesta”

“Il romanzo causò parecchio stupore e offese molti di noi, non tanto per il fatto che avevamo il ruolo del malvagio, bensì perchè accusava la Chiesa cattolica di basarsi su una grande menzogna”, spiega Isabel Sànchez Serrano, avvocato e membro del Consiglio femminile. Ricevemmo diverse sollecitazioni ad agire legalmente, in particolare dalla Germania, dove la legge lo consentiva” prosegue, “ma non ci volle molto perchè si formasse una maggioranza a favore del semplice dialogo”. “Ben presto abbiamo capito che il romanzo offriva un'opportunità: di ciò a New York si sono resi conto subito”, aggiunge.

Isabel Sànchez Serrano vive nella sede centrale dell’Opus Dei, Villa Tevere e Villa Sacchetti (i nomi variano per il settore degli uomini e quello delle donne), un palazzo nel quartiere romano dei Parioli, dove sono sepolti il fondatore, San Josemaría e il suo successore, Alvaro del Portillo.

Come, a New York, e in tutte le altre residenze distribuite per il mondo, gli uomini e le donne conducono vite totalmente separate. Gli ampliamenti che si sono succeduti hanno trasformato Villa Tevere in un labirinto di corridoi e scale. L'arredamento dei saloni tende al kitsch. “E’ stato realizzato quasi tutto dagli studenti che sono passati da qui e il risultato è eclettico, ci sono cose belle e altre che non lo sono tanto”, ironizza la Isabel Sànchez Serrano, che è sicura che a Villa Tevere “ci siano diversi volumi de Il Codice da Vinci che naturalmente tutti possono leggere liberamente”.

L'avvocatessa ammette che l’Opus Dei sta cambiando: “Anche la generazione precedente si era aperta alla trasparenza, perché questo era l'atteggiamento dello stesso fondatore, ma l’evoluzione è indubbia, tutte le organizzazioni umane evolvono”. Juan Manuel Mora, responsabile dell’immagine esterna dell’Opus Dei dal 1991, accenna a diversi fattori fondamentali. Il primo, la concessione dello Statuto di “Prelatura Personale” da parte di Giovanni Paolo II, che implicò “una specie di diritto di cittadinanza”. “Prima della “Prelatura" non rientravamo facilmente nelle strutture tradizionali della Chiesa ed eravamo una cosa strana:un’istituzione religiosa nella quale i sacerdoti non avevano preminenza sui laici, che accoglieva uomini e donne e che non aveva distintivi esterni” dice. “Ognuno di noi aveva una forte identità religiosa, ma all’identità collettiva mancava una definizione giuridica e un posto nel tessuto istituzionale; una politica per le comunicazioni corretta può essere elaborata solo se è ben definita l’identità”.

Il secondo elemento fu la beatificazione di Escrivá, nel 1992, soltanto diciassette anni dopo la morte. La beatificazione del fondatore rappresentò una nuova spinta, ma anche un avvertimento. Furono numerosi, dentro e fuori della Chiesa cattolica, coloro che espressero riserve sull'Opus Dei o che lo criticarono apertamente. “Non ce l'aspettavamo, eravamo convinti che la nostra leggenda nera fosse gia stata dissolta”, ricorda il portavoce. “Ma non era così. Molti continuavano a considerarci un'organizzazione segreta, oscura, strana. Evidentemente, la colpa era nostra, per non esserci fatti conoscere in maniera adeguata. E ci siamo messi al lavoro”. Nel 2002, quando Escrivá fu canonizzato come San Josemaría, non ci furono quasi polemiche. “A quel punto avevamo trovato il nostro posto nel cattolicesimo, avevamo chiaro chi eravamo e come spiegarlo”, dice Mora.

“L'anno dopo è uscito il romanzo di Dan Brown, fortunatamente in un periodo per noi buono. Se fosse stato pubblicato dieci anni prima, ci avrebbe danneggiato molto”. All'inizio del 2004, John Allen, corrispondente dal Vaticano del National Catholic Repoter, fu invitato a tenere varie conferenze nel suo paese. Aveva verificato che, arrivato il momento delle domande da parte del pubblico, molte erano sull'Opus Dei. Ritenne così interessante scrivere un libro e in aprile lo propose a Mora e a Marc Carroggio, portavoce a Roma per la stampa internazionale. Rimase sorpreso fino a un certo punto quando Mora e Carroggio, dopo essersi consultati con il prelato, si impegnarono a collaborare con lui “senza alcuna riserva”. Allen decise di avvalersi persino della collaborazione di un esperto revisore di conti per “esplorare” i bilanci dell'Opus Dei, una faccenda complessa perché solo una piccola parte delle scuole, degli ospedali e degli altri centri appartengono all'istituzione in maniera organica. Il resto è legato all'organizzazione solo indirettamente, attraverso i consigli d'amministrazione e società interposte. Dopo sei mesi di lavoro, Allen e il suo revisore hanno stimato il patrimonio in circa 2,8 miliardi di dollari, una cifra che l'Opus Dei ritiene “più o meno corretta”. “Ci sono due Opus Dei", dice John Allen. “Uno è quello del mito, una istituzione ricchissima, potente, con una grande influenza sia sulle questioni religiose, sia su quelle civili, e questo è l'Opus Dei riflesso nel libro di Brown. L'altro è l'Opus Dei reale, una istituzione con 85.491 membri (meno della Diocesi di Hobart in Tasmania), con un bilancio inferiore a quello della Diocesi di Chicago e molto meno potente di quanto la gente crede”.

Allen paragona l'Opus Dei alla birra Guinness, densa, ad alta gradazione e che non piace a tutti i palati. A seguito della sua indagine, che include una dettagliata verifica delle accuse di ex membri ostili e di altri detrattori, afferma di provare il massimo rispetto per l'Opera, sottolineando, tuttavia, che da cattolico, non sarebbe capace di sottomettersi alla loro disciplina. “Si può tracciare un curioso parallelo tra i gesuiti e l'Opus Dei”, sostiene. “Quando nel cattolicesimo appare un nuovo gruppo, in genere cresce velocemente suscitando diffidenza. Questo accadde con i gesuiti durante la Controriforma e sta accadendo ora con l'Opus Dei, che viene identificato con la linea conservatrice di Giovanni Paolo Il. L'ironia è che i principali critici dell'Opus Dei siano stati, fin dall'inizio, fin dagli anni Quaranta, proprio i gesuiti”. Il giornalista americano è dell'avviso che Dan Brown e Il Codice da Vinci abbiano fatto “un grande favore” all'Opus Dei: “Ora possono presentarsi come vittime, un vera novità per un'organizzazione che l'opinione pubblica ritiene molto potente. E verso l'Opus Dei si è accesso un incredibile interesse, cosa che permette loro di ridefinire l'immagine, soprattutto nell'area del mondo che a loro più interessa in questo momento: gli Stati Uniti”.

    Enric Gonzáles // La Repubblica