Sette giorni alla Piccola Casa della Divina Provvidenza

Alessandro ha passato una settimana al Cottolengo di Torino, insieme ad altri cinque amici della residenza Torrescalla di Milano, per aiutare gli operatori socio-sanitari e stare vicino agli ospiti. Ci ha raccontato come siano partiti in sei e, al ritorno, fossero «altri sei, diversi da prima».

Sette giorni alla Piccola Casa della Divina Provvidenza: troppo pochi per fratel Roberto, il capo della struttura. Solitamente, infatti, i volontari rimangono almeno per due settimane a servire i poveri del Cottolengo di Torino, ma fratel Roberto ha acconsentito ugualmente a farci fare questa esperienza. Abbiamo compreso solo durante lo svolgimento perché sarebbe stato necessario più tempo.

Le giornate di cura agli ospiti nella Piccola Casa sono state impegnative: erano quaranta anziani e centocinquanta persone abbandonate (con problemi mentali e fisici), i "buoni figli", come amava chiamarli il santo fondatore, Giuseppe Benedetto Cottolengo.

Dopo una lezione su come svolgere il nostro lavoro al meglio (aiutare gli ospiti che non riescono a muoversi, imboccarli, occuparsi della loro igiene personale, rispettando le norme igieniche), siamo stati assegnati alle case, per aiutare gli operatori socio-sanitari e per stare vicino agli ospiti. I turni di servizio duravano dalle 7.30 alle 12.45 e, nel pomeriggio, dalle 17 alle 19.30.

Anche gli ospiti lavoravano: secondo il pensiero del santo fondatore, infatti, lavorare dona dignità; non lavorare, invece, vuol dire non servire a niente. E questo logora chiunque. Tutti gli ospiti fanno quello che possono per contribuire anche economicamente alle necessità della struttura. Un esempio è il lavoro di assemblaggio: una famosa ditta torinese, infatti, li incarica ormai da anni del montaggio di giocattoli e del loro controllo qualità (in cambio di un compenso). Chi sa fare la maglia o l'uncinetto fabbrica sciarpe, berretti, maglioni da vendere al mercatino di Natale; anche chi riesce a fare un po' meno aiuta come può. D’altra parte, la moneta con cui gli ospiti hanno ripagato noi è quella del loro affetto sovrabbondante e della loro semplicità.

Andare via è stata la parte più difficile: «Quando torni?», «Ti ricordi che siamo qui ad aspettarti?», «Scrivimi».

In definitiva, sette giorni erano davvero troppo pochi. Sono stati, tuttavia, ugualmente importanti: infatti, siamo partiti in sei e, al ritorno, eravamo altri sei, diversi da prima.

Alessandro Cavedagna