Una chiacchierata con Emile Katti

La Residenza Universitaria RUI di Roma ha accolto con grande piacere un suo ex residente, il dottor Emile Katti, oggi fondatore e direttore di un ospedale di Aleppo, in Siria.

Accompagnato dal direttore della RUI di quei tempi, dott. Felice Barela, il dott. Katti ha potuto visitare nuovamente la casa in cui aveva abitato anni fa, cenare con i ragazzi e poi ritrovarsi in soggiorno con loro per un incredibile racconto su quello che si sta facendo ad Aleppo. Lì, ha voluto proiettare alcune fotografie che si è portato dietro per questi giorni di incontri e conferenze a Roma. Ha cominciato raccontandoci della nascita dell’ospedale Al Rajaa, ad Aleppo, fondato da lui con l’aiuto dei francescani; una struttura che vanta orgogliosamente una splendida esperienza di collaborazione e convivenza tra equipe di medici e operatori di diversi Paesi e di varie religioni: siriani, egiziani, cristiani, musulmani sciiti, sunniti, alawiti e così via. La Siria era un ottimo laboratorio di convivenza, prima della guerra.

Oggi Aleppo è in buona parte distrutta. Ci sono zone in cui non arriva la corrente, e molti siriani in fuga hanno trovato la morte in mare oppure arrivano in Paesi europei dove non riescono ad adattarsi, magari confinati in campi rifugiati. Su domanda di uno studente di Medicina presente in sala, il dott. Katti ha spiegato che uno dei problemi è proprio la mancanza di personale medico specializzato: ad Aleppo, per esempio, una città che nel 2005 contava 2 milioni di abitanti, ci sono in questo momento solo due o tre neurochirurghi, ed altre branche non se la passano meglio. Lui stesso si è occupato di scrivere al ministro siriano per sottoporre questo ed altri problemi, e relative soluzioni.

Un residente della RUI ha anche chiesto come viene affrontata la partenza di amici e colleghi per l’estero. Il dottore ha risposto che, ovviamente, cerca di incoraggiare le persone a restare e dare una mano, ma che dal momento che si rischia la vita, la scelta deve essere di ciascuno, per sé e per la propria famiglia, e secondo la propria responsabilità e coscienza. Tra i medici, la dispersione è stata fatale: ad Aleppo erano 6900, e ora sono appena 1650, con la grande necessità che c’è per i continui attentati.

Ha raccontato molti episodi di guerra, e dell’insonnia e dell’angoscia che pervadono i civili siriani, costantemente oggetto di bombardamenti ed esplosioni. Si esce di casa la mattina e non si sa se si torna la sera. Ma poi ci ha mostrato anche tanto eroismo quotidiano, con visite, interventi, emergenze… ed esami dei corpi che arrivano in ospedale: accorgersi di un leggero battito al polso può salvare la vita a persone considerate già morte e lasciate su una macchina.

I ragazzi presenti sono rimasti molto colpiti dal racconto di questo lavoro straordinario, dalle situazioni che si vivono lì e di cui siamo così poco consapevoli, e della ricchezza interiore di questo medico che rimane a difendere la “fortezza” di Aleppo, cioè le vite di quanti rimangono lì a soffrire. Tra l’altro, pur tra preoccupazioni e fatica, abbiamo potuto constatare l’allegria e il buon umore del nostro ospite. Lui stesso ci ha confermato che la sua fede cristiana lo aiuta ad andare avanti con fiducia e speranza, e soprattutto ad addormentarsi la sera, affidando tutto a Dio.