Vita di Maria (IX): Magistero, Padri, santi

L’adorazione dei magi al Bambino vista dai Padri della Chiesa, dai santi, dal magistero...

LA VOCE DEL MAGISTERO

«L'arrivo dei Magi dall'Oriente a Betlemme, per adorare il neonato Messia, è il segno della manifestazione del Re universale ai popoli e a tutti gli uomini che cercano la verità. È l'inizio di un movimento opposto a quello di Babele: dalla confusione alla comprensione, dalla dispersione alla riconciliazione. Scorgiamo così un legame tra l'Epifania e la Pentecoste: se il Natale di Cristo, che è il Capo, è anche il Natale della Chiesa, suo corpo, noi vediamo nei Magi i popoli che si aggregano al resto d'Israele, preannunciando il grande segno della “Chiesa poliglotta", attuato dallo Spirito Santo cinquanta giorni dopo la Pasqua.

L'amore fedele e tenace di Dio, che mai viene meno alla sua alleanza di generazione in generazione. È il “mistero" di cui parla San Paolo nelle sue Lettere, anche nel brano della Lettera agli Efesini poc'anzi proclamato: l'Apostolo afferma che tale mistero “gli è stato fatto conoscere per rivelazione" ( Ef 3, 3) e lui è incaricato di farlo conoscere.

Questo “mistero" della fedeltà di Dio costituisce la speranza della storia. Certo, esso è contrastato da spinte di divisione e di sopraffazione, che lacerano l'umanità a causa del peccato e del conflitto di egoismi. La Chiesa è, nella storia, al servizio di questo “mistero" di benedizione per l'intera umanità. In questo mistero della fedeltà di Dio, la Chiesa assolve appieno la sua missione solo quando riflette in se stessa la luce di Cristo Signore, e così è di aiuto ai popoli del mondo sulla via della pace e dell'autentico progresso [...].

Con Gesù Cristo la benedizione di Abramo si è estesa a tutti i popoli, alla Chiesa universale come nuovo Israele che accoglie nel suo seno l'intera umanità. Anche oggi, tuttavia, resta in molti sensi vero quanto diceva il profeta: “Nebbia fitta avvolge le nazioni" e la nostra storia. Non si può dire infatti che la globalizzazione sia sinonimo di ordine morale, tutt'altro. I conflitti per la supremazia economica e l'accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime rendono difficile il lavoro di quanti, ad ogni livello, si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale.

C'è bisogno di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti. “Questa grande speranza può essere solo Dio ..., non un qualsiasi Dio, ma quel Dio che possiede un volto umano" ( Spe salvi , 31), il Dio che si è manifestato nel Bambino di Betlemme e nel Crocifisso-Risorto».

Benedetto XVI (XXI secolo), Omelia nella solennità dell'Epifania , 6-I-2008.

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LA VOCE DEI PADRI DELLA CHIESA

«La Provvidenza misericordiosa di Dio, avendo deciso di venire alla fine dei tempi per soccorrere il mondo che stava per morire, stabilì in anticipo in Cristo la salvezza di tutti i popoli [...]. Questa ineffabile misericordia, carissimi, si manifestò quando Erode deteneva il potere reale sui giudei. Si era conclusa la legittima successione dei re, non esisteva più l'autorità dei sacerdoti, un estraneo ostentava l'autorità sovrana. Per questo, la venuta del vero Re poggiava sulle parole di questa profezia: Non sarà tolto lo scettro da Giuda, né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà Colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli ( Gn 49, 10). Si trattava di quei popoli, innumerevole discendenza in altri tempi promessa al santo patriarca Abramo, una discendenza che sarebbe stata generata non da un seme carnale, ma dalla fecondità della fede; una discendenza paragonata a una moltitudine di stelle, affinché il padre di tutte le nazioni si aspettasse una posterità non terrena, ma celeste [...].

Istruiti da questi misteri della grazia divina, carissimi, celebriamo dunque con una saggia gioia il giorno delle nostre primizie e l'inizio delle vocazioni dei pagani. Siamo sempre grati a Dio misericordioso, che, secondo le parole dell'Apostolo, ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È Lui [...] che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto ( Col 1, 12-13). Infatti, come aveva annunciato Isaia, il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse ( Is 9, 1). Per questo egli stesso dice al Signore: Tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a Te popoli che non ti conoscevano ( Ibid ., 55, 5). Abramo vide questo giorno e se ne rallegrò (cfr. Gv 8, 56) quando seppe che i suoi figli secondo la fede sarebbero stati benedetti nella loro discendenza, ossia in Cristo, e intravide nella fede che sarebbe stato il futuro padre di tutti i popoli (cfr. Rm 4, 18)».

San Leone Magno (V secolo), Omelia nella solennità dell'Epifania , 3.

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«Forse qualcuno si meraviglia e si domanda: come hanno potuto, i Magi, conoscere la nascita del Salvatore, solo attraverso il segno di una stella? In primo luogo, bisogna dire che si tratta di un dono concesso loro dal Signore. In secondo luogo, si legge nei libri di Mosè che già Balaam era stato una specie di profeta dei pagani. Infatti egli aveva profetizzato – nella misura in cui era capace di farlo – la venuta di Cristo e la sua incarnazione per mezzo di una vergine. Profetizzò [...] in questi termini: Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele ( Nm 24, 17). Per questa ragione sembra che i Magi provenissero dalla discendenza di Balaam [...]. Quando videro il segno della nuova stella, i Magi credettero immediatamente, perché capirono che erano stati chiamati a dare compimento alla profezia del loro antenato [...]. Il profeta Balaam vide in spirito quella stella che questi poterono vedere con gli occhi, e in questo modo arrivarono alla fede. Quello profetizzò la venuta di Cristo; questi, quando venne, lo guardarono con gli occhi della fede».

San Cromazio di Aquileia (IV secolo), Commento al Vangelo di San Matteo , IV, 1.

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«Secondo me, è evidente che non si trattava di una stella ordinaria; o meglio, non era una vera stella, ma una forza invisibile che prese le apparenze di una stella, e questo è provato, anzitutto, dalla traiettoria che seguì. Noi vediamo che il sole, la luna e tutti gli astri si muovono da oriente verso occidente; quella, invece, seguiva una traiettoria da nord a sud, che è la posizione della Persia rispetto alla Palestina.

In secondo luogo, la stessa cosa si può dimostrare in base ai tempi. Infatti, non solo appariva durante la notte, ma in pieno giorno e nel pieno fulgore del sole. Non c'è stella che abbia una tale virtù; non l'ha neppure la stessa luna, la quale, pur eccedendo di parecchi gradi tutte le stelle, appena splendono i raggi del sole, si nasconde e scompare. Invece, la stella dei Magi, data la superiorità della sua luminosità, superava gli stessi raggi solari e brillava in mezzo alla loro luce.

Terza prova: la stella dei Magi appariva e si nascondeva. In effetti, durante il viaggio verso la Palestina, la stella li guidò; ma poi, appena arrivarono a Gerusalemme, scomparve alla loro vista. Poi, quando, informato Erode sullo scopo della loro venuta, lo lasciarono e si misero in cammino, la stella riapparve ai loro occhi. Tutto questo non è consono al movimento di una stella, ma a una potenza molto razionale. Era una stella che non aveva moto proprio, ma che, quando i Magi dovevano camminare, si muoveva; quando dovevano fermarsi, si fermava, adattandosi sempre a ciò che conveniva. Era come la colonna di nebbia che guidava i giudei nel deserto, grazie alla quale, in base a ciò che conveniva, piantavano o muovevano il loro accampamento.

La quarta prova evidente è il modo come mostrò loro il luogo dove si trovava il Bambino. In realtà non la mostrò loro restandosene in alto, perché in tal modo non avrebbero potuto individuarlo, ma abbassandosi fin lì. Comprenderete perfettamente che un luogo tanto minuscolo, probabilmente una povera capanna, e ancor meno, com'è naturale, il corpicino di un bambino piccolo, non è possibile che sia indicato da una stella [...]. Questo, infatti, è ciò che l'evangelista voleva far capire dicendo: Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il Bambino ( Mt 2, 9).

Vedete, dunque, con quanti argomenti si prova che quella stella non era una stella come le altre, e che non apparve perché così esigeva l'oroscopo profano».

San Giovanni Crisostomo (IV secolo), Omelie sul Vangelo di San Matteo , VI.

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LA VOCE DEI SANTI

« Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra ( Mt 2, 11). Fermiamoci un po' e cerchiamo di capire questo passo del Vangelo. Come è possibile che noi, che siamo nulla e nulla valiamo, possiamo fare delle offerte a Dio? [...].

Ma il Signore sa che il dare è proprio degli innamorati, ed Egli stesso ci indica che cosa desidera da noi. Non gli importano le ricchezze, i frutti o gli animali della terra, del mare o dell'aria, perché tutto è suo; vuole qualcosa di intimo che gli dobbiamo offrire con libertà: Figlio mio, dammi il tuo cuore ( Prv 23, 26). Vedete? Non si accontenta di spartire: vuole tutto. Torno a ripetere che non cerca le nostre cose, cerca noi stessi. Solo da qui, da questo primo dono, acquistano senso tutti gli altri doni che possiamo offrire al Signore.

Diamogli pertanto dell'oro: l'oro puro dello spirito di distacco dal denaro e dai mezzi materiali, cose che pure sono buone, perché vengono da Dio. Ma il Signore ha disposto che le utilizzassimo senza lasciarvi il cuore, mettendole a frutto per il bene comune di tutti gli uomini [...].

Offriamogli poi l'incenso: è l'anelito, che sale fino al Signore, di condurre una vita nobile che diffonda intorno a sé il bonus odor Christi ( 2 Cor 2, 15), il profumo di Cristo. Quando le parole e le azioni sono impregnate del bonus odor , si semina comprensione, amicizia. La nostra vita deve accompagnare quella degli altri perché nessuno sia o si senta solo. La nostra carità deve essere anche affetto, calore umano [...].

Assieme ai Magi, offriamo infine la mirra, ossia il sacrificio, che non deve mai mancare nella vita cristiana. La mirra ci porta alla memoria la Passione del Signore: sulla Croce gli diedero da bere mirra mista a vino (cfr. Mc 15, 23), e con la mirra unsero il suo corpo per la sepoltura (cfr. Gv 19, 39). Ma non crediate che riflettere sulla necessità del sacrificio e della mortificazione sia come aggiungere una nota di tristezza [...]. Mortificazione non è pessimismo, non è grettezza d'animo. La mortificazione non vale niente senza la carità. Dobbiamo pertanto cercare sacrifici che, pur rendendoci capaci di padroneggiare le cose della terra, non mortifichino coloro che convivono con noi. Il cristiano non può essere né carnefice né meschino; è un uomo che sa amare con le opere, che saggia il suo amore con la pietra di paragone del dolore».

San Josemaría Escrivá (XX secolo), È Gesù che passa , nn. 35-37.