36. Sopportare pazientemente le persone moleste

Il Papa, nell’udienza generale di oggi, ci ricorda quanto siano importanti le opere di misericordia, come sopportare le persone moleste, per gustare a pieno la gioia della vita.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Dedichiamo la catechesi di oggi a un’opera di misericordia che tutti conosciamo molto bene, ma che forse non mettiamo in pratica come dovremmo: sopportare pazientemente le persone moleste. Siamo tutti molto bravi nell’identificare una presenza che può dare fastidio: succede quando incontriamo qualcuno per la strada, o quando riceviamo una telefonata... Subito pensiamo: “Per quanto tempo dovrò sentire le lamentele, le chiacchiere, le richieste o le vanterie di questa persona?”. Succede anche, a volte, che le persone fastidiose sono quelle più vicine a noi: tra i parenti c’è sempre qualcuno; sul posto di lavoro non mancano; e neppure nel tempo libero ne siamo esenti. Che cosa dobbiamo fare con le persone moleste? Ma anche noi tante volte siamo molesti agli altri. Perché tra le opere di misericordia è stata inserita anche questa? Sopportare pazientemente le persone moleste?

Nella Bibbia vediamo che Dio stesso deve usare misericordia per sopportare le lamentele del suo popolo. Ad esempio nel libro dell’Esodo il popolo risulta davvero insopportabile: prima piange perché è schiavo in Egitto, e Dio lo libera; poi, nel deserto, si lamenta perché non c’è da mangiare (cfr 16,3), e Dio manda le quaglie e la manna (cfr 16,13-16), ma nonostante questo le lamentele non cessano. Mosè faceva da mediatore tra Dio e il popolo, e anche lui qualche volta sarà risultato molesto per il Signore. Ma Dio ha avuto pazienza e così ha insegnato a Mosè e al popolo anche questa dimensione essenziale della fede.

Viene quindi spontanea una prima domanda: facciamo mai l’esame di coscienza per vedere se anche noi, a volte, possiamo risultare molesti agli altri? È facile puntare il dito contro i difetti e le mancanze altrui, ma dobbiamo imparare a metterci nei panni degli altri.

Guardiamo soprattutto a Gesù: quanta pazienza ha dovuto avere nei tre anni della sua vita pubblica! Una volta, mentre era in cammino con i discepoli, fu fermato dalla madre di Giacomo e Giovanni, la quale gli disse: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno» (Mt 20,21). La mamma faceva la lobby per i suoi figli, ma era la mamma … Anche da quella situazione Gesù prende spunto per dare un insegnamento fondamentale: il suo non è un regno di potere, non è un regno di gloria come quelli terreni, ma di servizio e donazione agli altri. Gesù insegna ad andare sempre all’essenziale e a guardare più lontano per assumere con responsabilità la propria missione. Potremmo vedere qui il richiamo ad altre due opere di misericordia spirituale: quella di ammonire i peccatori e quella di insegnare agli ignoranti. Pensiamo al grande impegno che si può mettere quando aiutiamo le persone a crescere nella fede e nella vita. Penso, ad esempio, ai catechisti – tra i quali ci sono tante mamme e tante religiose – che dedicano tempo per insegnare ai ragazzi gli elementi basilari della fede. Quanta fatica, soprattutto quando i ragazzi preferirebbero giocare piuttosto che ascoltare il catechismo!

Accompagnare nella ricerca dell’essenziale è bello e importante, perché ci fa condividere la gioia di gustare il senso della vita. Spesso ci capita di incontrare persone che si soffermano su cose superficiali, effimere e banali; a volte perché non hanno incontrato qualcuno che le stimolasse a cercare qualcos’altro, ad apprezzare i veri tesori. Insegnare a guardare all’essenziale è un aiuto determinante, specialmente in un tempo come il nostro che sembra aver perso l’orientamento e inseguire soddisfazioni di corto respiro. Insegnare a scoprire che cosa il Signore vuole da noi e come possiamo corrispondervi significa mettere sulla strada per crescere nella propria vocazione, la strada della vera gioia. Così le parole di Gesù alla madre di Giacomo e Giovanni, e poi a tutto il gruppo dei discepoli, indicano la via per evitare di cadere nell’invidia, nell’ambizione, nell’adulazione, tentazioni che sono sempre in agguato anche tra noi cristiani. L’esigenza di consigliare, ammonire e insegnare non ci deve far sentire superiori agli altri, ma ci obbliga anzitutto a rientrare in noi stessi per verificare se siamo coerenti con quanto chiediamo agli altri. Non dimentichiamo le parole di Gesù: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (Lc6,41). Lo Spirito Santo ci aiuti ad essere pazienti nel sopportare e umili e semplici nel consigliare.


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