Come in un film | I re magi, «ricercatori di Dio»

I magi si lasciarono alle spalle tante cose per cercare il Re dei Giudei: casa, amici, le proprie sicurezze… Ma il desiderio interiore che li spinse a mettersi in viaggio si concluse con la manifestazione dell’unica cosa veramente importante della loro vita: «Si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2, 11).

Una vistosa comitiva sta per arrivare a Gerusalemme. Gli stranieri percorrono le stradine meravigliati dal trambusto della città. Probabilmente alle loro orecchie erano già arrivate le imprese compiute dal popolo giudeo. E, adesso, questi misteriosi personaggi possono vedere con i propri occhi i simboli di questo luogo: le mura e il tempio. Tuttavia, non sono venuti per curiosità. Hanno percorso centinaia di chilometri perché vogliono adorare il re dei giudei appena nato. Per questo si dirigono verso il luogo dove credono di trovarlo: il palazzo reale. «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2). Si presentarono al palazzo con queste parole. Magari avranno pensato che lì la sua presenza sarebbe stata normale. Se era appena nato colui che era atteso da tanto tempo, era logico che la gente venisse a conoscerlo. Tuttavia, «all'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme» (Mt 2,3). La notizia volò di bocca in bocca. La visita di quegli esotici stranieri destò una piccola emozione. Erode, quindi, decise di riunire i sacerdoti e gli scribi del popolo per cercare di capire cosa stesse succedendo.

A Erode non interessava il presunto re. Lo era diventato, riuscendo a mettersi sotto la protezione di Ottaviano Augusto, garantendogli sicurezza e imposte. Qualsiasi inconveniente poteva minacciarne la continuità. Per questo la sua priorità era che le cose continuassero allo stesso modo. Le promesse di Dio raccolte dai profeti funzionavano bene per garantire l’identità nazionale dei giudei, sempre che si mantenessero lontane e teoriche. Cristo, però, sconvolse i suoi piani. E riconoscerlo re implicava un rischio, lasciarsi dietro la sicurezza dei propri ragionamenti e accettare «gli imprevisti che non compaiono sulla mappa del quieto vivere. Gesù si lascia trovare da chi lo cerca, ma per cercarlo bisogna muoversi, uscire. Non aspettare; rischiare. Non stare fermi; avanzare. È esigente Gesù: a chi lo cerca propone di lasciare le poltrone delle comodità mondane e i tepori rassicuranti dei propri caminetti»[1]. In definitiva, richiede di mettersi in viaggio, come i Magi.

Una visione di speranza per il mondo

Gli scribi e i sacerdoti non ebbero esitazioni nell’affermare che il Cristo dovesse nascere a Betlemme, dato che così aveva detto il profeta Michea: «E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda,
da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele
» (Mi 5,1). Quegli uomini conoscevano bene le scritture. Sapevano esattamente tutti i punti che si riferivano al Messia. Con ogni probabilità, nella loro vita avevano meditato frequentemente sulla sua venuta. Alcuni, sperando che accadesse quanto prima; altri, magari con un certo scetticismo, dato che avevano sperato che li salvasse dalla dominazione romana.

Tuttavia, nonostante la profezia fosse loro così prossima all’avverarsi, i saggi di Israele in quel momento non hanno saputo riconoscerla. Sono dovuti arrivare quegli stranieri per fare loro vedere che il re dei giudei era nato. Abituati ad essere oggetto di predilezione da parte di Dio, depositari della sua grandezza, hanno dovuto accorgersi che è stato un popolo pagano ad annunciare la Buona Notizia che stavano aspettando da tanti secoli. «Cammineranno le genti alla tua luce, aveva detto Isaia, i re allo splendore del tuo sorgere» (Is 60,3). Le profezie si stavano compiendo alla lettera, ma la cecità dei cuori ha impedito loro di accogliere l’annuncio di quegli stranieri.

I Magi non appartenevano al popolo di Israele. Venivano dall’Oriente, cioè, da più in là dell’Impero Romano. Forse erano persiani, uomini che si dedicavano all’astronomia e alle scienze. In apparenza, erano le persone meno indicate a proclamare la venuta del Messia. Dio non si era rivelato loro, come aveva fatto con Israele. Ma i piani del Signore erano molto più grandi di quelli che gli scribi potessero immaginare. Il nuovo popolo di Dio non sarebbe stato circoscritto a una nazione, ma avrebbe offerto la salvezza a tutte le genti. E non sarebbe esistita alcuna barriera a separare gli uomini. «Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo, aveva profetizzato Isaia, condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.» (Is 56,6- 7).

Avere una visione piena di speranza per il mondo porta a scoprire tutto il buono che c’è nella società; a guardare con ottimismo i valori di una cultura. «Tutto è vostro –dirà san Paolo–, voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio» (1Cor 3, 22-23). Di fronte a questa realtà «ci rallegriamo delle gioie degli altri, godiamo di tutte le cose buone che ci circondano e ci sentiamo ingaggiati dalle sfide dei giorni nostri»[2]. E il fondamento di questa visione piena di speranza è proprio il Dio che cercano i Magi: «non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l'umanità nel suo insieme»[3].

Siamo ciò che desideriamo

«Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo (Mt 2, 7-8). Per quanto le intenzioni di Erode non fossero le più giuste, le sue informazioni infiammarono di nuovo i cuori dei magi: ora sapevano come continuare il viaggio.

Non si erano accomodati alla vita comoda che avevano sulla terra, magari con molte rendite e grande prestigio sociale; erano «ricercatori di Dio»[4]. Per questo, è possibile che, quando giunsero a Gerusalemme, fossero rimasti delusi e non sapessero come proseguire. Ma, alla scoperta della via che li portava al Re tornarono a sentire la gioia che dava loro forza per riprendere il viaggio.

Il desiderio che sentono di adorare chi dava significato alle loro vite era più grande di quello di godere delle loro sicurezze. È stato proprio questo impulso interiore a spingerli a percorrere centinaia di chilometri e attraversare territori sconosciuti. «Sì, perché Dio ci ha fatti così: impastati di desiderio; orientati, come i magi, verso le stelle. Possiamo dire, senza esagerare, che noi siamo ciò che desideriamo. Perché sono i desideri ad allargare il nostro sguardo e a spingere la vita oltre: oltre le barriere dell’abitudine, oltre una vita appiattita sul consumo, oltre una fede ripetitiva e stanca, oltre la paura di metterci in gioco, di impegnarci per gli altri e per il bene»[5].

I Magi erano decisi ad andare da quel re a qualunque costo. Erano «convinti che né deserto, né tempeste, né la quiete delle oasi[6], potevano impedire loro di trovare Gesù. «Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore»[7]. Per questo, «al vedere la stella, provarono una gioia grandissima» (Mt 2,10). Non erano stati testimoni dei portenti del Signore narrati nell’Antico Testamento. Bastò loro la stella per riempirsi di gioia. Amavano il Dio sconosciuto anche senza averlo visto. In fondo era proprio quello che desideravano sin da quando avevano lasciato le loro case.

Un atto di giustizia

«Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2,11). Quegli uomini sapienti si sono inginocchiati davanti a un bambino appena nato. Il re stava proprio lì, nel presepe. Non dovevano più contemplarlo nelle costellazioni del firmamento: lo avevano davanti, vicino, fatto bambino.

Tutto quello che avevano vissuto nelle ultime settimane, la gioia nel vedere la stella, la fatica del viaggio, i dubbi di poter arrivare a Gerusalemme, trovava il suo significato alla presenza di questo re. Il desiderio di conoscere Dio, che li aveva fatti lasciare casa, li ha portati all’adorazione. Sperimentarono come Gesù ha colmato i loro più profondi desideri. Magari le loro vite prima giravano attorno alla soddisfazione di altri bisogni più immediati: il prestigio sociale, la ricchezza, la comodità… Ma, in quel momento scoprirono che la cosa veramente importante è dare gloria a Dio. «Il nostro tesoro è qui, adagiato in una mangiatoia; è Cristo, e in Lui devono orientarsi tutti i nostri affetti, perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore (Mt6, 21)»[8].

I Magi, che già sono entrati in questa logica di vita che va ben più in là dei bisogni primari, gli offrono i loro doni: oro, incenso e mirra. Magari a Maria e Giuseppe sarebbero stati più utili altri doni, qualcosa per combattere il freddo o da fare mangiare il bambino. In quel momento non avevano bisogno di incenso e mirra, e forse nemmeno l’oro poteva aiutarli nell’immediato. «Ma questi doni hanno un significato profondo: sono un atto di giustizia. Infatti, secondo la mentalità vigente a quel tempo in Oriente, rappresentano il riconoscimento di una persona come Dio e Re: sono, cioè, un atto di sottomissione. Vogliono dire che da quel momento i donatori appartengono al sovrano e riconoscono la sua autorità»[9].

Maria è sorpresa nel vedere entrare quella comitiva sotto il suo tetto. Abituata a meditare nel suo cuore le cose che accadono, le sarà venuta in mente la profezia: «Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l'abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore
» (Is 60, 5-6). Lei, che a Betlemme non è altro che una donna nazarena, quella che ha partorito in una stalla, vede come si prostrano quei sapienti e come guardano suo figlio. Sente palpitare il suo cuore immacolato vedendo, per la prima volta, pagani, venuti da lontano, che adorano suo figlio come vero Dio.

Un profondo silenzio riempia la povera stanza. Forse, soltanto l’allegro balbettio della creatura che tiene in braccio rompe quel silenzio e emozionano ancora di più il cuore dei Magi. Non è quello che si aspettavano, ma la luce della fede apre i loro occhi. Non hanno né parole né pensieri per spiegarsi che quel bambino che li guarda, che si diverte con le dita della mamma, è il loro Re, il loro Dio. Ma è così. E lo adorano.

Proprio loro, che sono ricercatori di Dio, abituati a intravederlo nel cielo e nella creazione, adesso hanno davanti a loro la Sapienza divina, misteriosa, nascosta. Magari, il più intraprendente tra di loro, inchinandosi, lascia un bacio alle mani della madre. E per la prima volta un cuore prega con queste parole: Sedes Sapientiae!

[1] Francesco, Omelia, 6-I-2018.

[2] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera, 19-III-2022, n. 7.

[3] Benedetto XVI, Enciclica Spe salvi, n. 31.

[4] Benedetto XVI, Omelia, 6-I-2013.

[5] Francesco, Omelia, 6-I-2022.

[6] È Gesù che passa, n. 32.

[7] Benedetto XVI, Omelia, 6-I-2013.

[8] È Gesù che passa, n. 35.

[9] Benedetto XVI, Omelia, 6-I-2010.