I miei due piani esistenziali

Maurizio Arena, di Catania, neurologo e psicoterapeuta, 60 anni, soprannumerario, sposato con due figli, racconta la sua storia e come la sua vita si è intrecciata con l'Opus Dei.

Il mio rapporto con la religione cattolica è stato controverso. Da piccolo all’epoca della prima Comunione, ero certamente un bambino ligio, frequentavo la chiesa e i sacramenti. Nell’adolescenza qualcosa cambiò: ancora la fede ma, come dire, vissuta un po’ a modo mio.

Ed ecco gli anni del liceo: come tanti, impegno politico e molta goliardia; Gesù, Dio e tutti i santi, via via messi da parte, fino a scomparire. Pessimo studente, ho tirato la carretta fino alla maturità, pensando più a divertirmi che a studiare, superando “brillantemente” la maturità scientifica con il minimo dei voti e facendo tirare un profondo sospiro di sollievo ai miei cari.

Fui contattato da alcuni giovani, di qualche anno più grandi di me. Mi invitarono a partecipare agli incontri di orientamento universitario presso la Residenza universitaria Falconara, che, appresi, era diretta da persone dell’Opus Dei. Un ambiente accattivante, accogliente, pieno di eccellenze universitarie, tanto che, non lo nascondo, mi sentivo come un pesce fuor d’acqua. Fu un momento importante della mia vita, cominciai ad appassionarmi allo studio, soprattutto all’idea di studiare psicologia. Alla fine, dopo vari contrasti con i miei, che mi avrebbero voluto in un bel posto fisso da impiegato, riuscii a spuntare il permesso di iscrivermi a medicina, facendo un patto da gentiluomini: un anno di tempo, se non avessi dato tutte le materie… in un ufficio per tutta la vita!

Fatta la scelta universitaria continuai a frequentare la residenza universitaria, il club di medicina era appassionante, i tutor erano amici, mi aiutarono a impostare il metodo di studio, cominciai a frequentare le lezioni e a superare gli esami con ottimi voti. In quella residenza si stava veramente bene, le aule di studio, i laboratori, un giardino ben curato dove passeggiare e chiacchierare nelle pause. Inoltre c’era la possibilità, senza nessuna forzatura né insistenza fuori luogo, di frequentare attività di formazione cristiana, parlare con un sacerdote…

Ma io non ero molto interessato a queste pratiche, e mai nessuno m’impedì per questo di continuare a frequentare la residenza, il rapporto con tutti era fondato su un amicizia sincera e profonda. In prossimità del Natale del 1973 fui invitato a partecipare a una meditazione nell’oratorio della residenza. Non ne ero entusiasta, ma in quei giorni ero inquieto: ogni qual volta andavo in residenza, la porta chiusa dell’oratorio pareva calamitarmi. “Cedetti” e il pomeriggio della meditazione spalancai le porte dell’oratorio e mi sedetti in fondo ad ascoltare il sacerdote.

Non ricordo l’argomento della meditazione, ma una frase mi colpì e mi restò impressa, la riporto testualmente: “Lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un'università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro.”

Quel pensiero mi ritornava in mente continuamente e qualche pomeriggio dopo decisi di incontrare il sacerdote per approfondirlo. Fu un incontro cordiale e fraterno, mi spiegò che quel pensiero non era suo ma di Josemaría Escrivá, il fondatore dell’Opus Dei, contenuta nell’omelia dal titolo “Amare il mondo appassionatamente”, di cui mi omaggiò un libretto.

La sera stessa lo lessi tutto d’un fiato e lo rilessi più volte nei giorni seguenti, ne rimasi profondamente colpito, per la prima volta nella mia vita ebbi modo di vedere la fede del cristianesimo da una prospettiva diversa, fatto di una spiritualità molto umana. Da quel momento fu un susseguirsi di eventi che mi portarono alla confessione prima e alla comunione dopo, alla frequentazione dei mezzi di formazione, alle convivenze, alla fortunata opportunità di vedere di persona a Roma, nella Pasqua del 1974, il fondatore dell’Opus Dei.

Nell’estate dello stesso anno, però, avevo 20 anni, mi recai al Castello di Urio, sul lago di Como, per un incontro di formazione. Fu lì che iniziarono a comparire ansie e preoccupazioni, ebbi paura, sì, paura di fare “troppo”, e al rientro cominciai a diradare la mia presenza in residenza, mi allontanai dall’Opera e la fede cominciò ad affievolirsi giorno dopo giorno, fino a scomparire.

Maurizio con due collaboratrici nello studio medico

Iniziò quello che io definisco metaforicamente il lungo periodo esistenziale orizzontale della mia vita, successi universitari, mondanità, divertimenti, fino alla brillante laurea conseguita col massimo dei voti, a coronamento di una felice carriera.

Non meno brillante la carriera professionale, gratificante e piena di soddisfazioni, ma ridotta a una massacrante routine quotidiana, dove c’era spazio soltanto per il mio successo; fu messo in discussione anche il mio equilibrio familiare, con mia moglie dedita alla cura dei figli, mentre io ero immerso nella vana scalata al successo. Il mio piano orizzontale di vita era sì pieno di molteplici relazioni umane fatte di amicizia, simpatia, lavoro, divertimento, ma di spinte “verticali” neanche l’ombra. Vivevo per me stesso.

Nel 2000, sopraffatto dal peso delle fatiche lavorative e dall’appiattimento del mio vissuto esistenziale, presi una importante decisione, d’accordo con mia moglie: lasciai l’attività ospedaliera e feci il libero professionista, riducendo notevolmente gli impegni.

Da allora accaddero alcuni importanti episodi che hanno impresso una svolta importante nella mia vita, segno che il Signore si era rimesso a cercarmi: nel 2002 Papa Giovanni Paolo II canonizzò san Josemaría Escrivá, ne rimasi particolarmente colpito e ripensai a lungo e con nostalgia profonda agli anni in cui avevo avuto modo di frequentare l’Opera.

Rilessi in quella occasione alcuni punti scritti da san Josemaría sull’amore, che mi rimasero impressi. Ne cito uno soltanto (Cammino 813): Fate tutto per Amore. Così non ci sono cose piccole: tutto è grande. La perseveranza nelle piccole cose, per Amore, è eroismo.

Per la prima volta, ripensando all’amore, all’amore umano e nobile, ho colto il riflesso di Dio a cui noi siamo fatti a immagine e somiglianza, ho percepito uno spostamento gravitazionale del mio vissuto esistenziale, la necessità di trascendere i limiti naturali, per spostare la mia visuale su un piano verticale. Da allora cominciai, a entrare qualche volta in chiesa per pregare, poi ripresi a frequentare la messa domenicale, prima occasionalmente, poi con maggiore frequenza.

Potere dell’amicizia! Un vecchio amico, Salvo, soprannumerario dell’Opera, aveva continuato, instancabile per 38 anni (!), a ogni ricorrenza, compleanno, Natale, Pasqua, a telefonarmi per farmi gli auguri, il tutto in punta di piedi, con sincero affetto, rispetto e cordialità, lasciandomi ogni volta basito e sorpreso. Un filo sottile ma vero, che mi riannodava al passato…

Il 2 aprile 2005 morì Papa Wojtyla, provai un grande dolore nel vedere in televisione quella bara di legno grezzo sul sagrato di San Pietro, con i refoli di vento che sfogliavano le pagine del vangelo sopra il feretro. Entrai in chiesa e mi soffermai a lungo a pregare, ebbi modo di riflettere come spesso il dolore avvicini a Dio molto più di quanto possa farlo un evento felice.

La scomparsa della mamma, nel 2008 e quella del babbo, 7 mesi dopo, mi sconvolsero e mi spinsero a trovare conforto nella preghiera e in famiglia. Pur con il cuore rotto dal dolore, avvertivo, con sempre maggiore consapevolezza, che l’amore trascende i limiti naturali, per penetrare sempre più nel mondo superiore del soprannaturale, amplificando verso l’alto il mio vissuto esistenziale. L’amico Salvo venne sia al funerale di mamma che di papà, cominciammo a rivederci; senza forzature, mi invitò a frequentare i mezzi di formazione dell’Opera, e io lo feci con piacere (dopo una interruzione di 38 anni!) e da quel momento intrapresi un cammino che mi portò a chiedere l’ammissione all’Opus Dei come soprannumerario.

Da allora a oggi sono trascorsi cinque anni di felicità, di santa allegria, so di essere figlio di Dio e me ne vanto; finalmente i miei due piani esistenziali di vita, quello orizzontale e quello verticale, coesistono e si completano, so che devo continuare a salire, tra mille difficoltà, inghippi e imprevisti, santificandomi e santificando gli altri col mio lavoro e la mia vita, fatti con amore, fedeltà e gioia.