Su “Pensamiento y Cultura” - 26 ottobre 2001

Il Prelato dell’Opus Dei commenta, in una intervista pubblicata sulla rivista “Pensamiento y Cultura”, alcuni temi legati al pluralismo culturale, alla pace e al ruolo dell’università nella società attuale.

Monsignore, sappiamo che Lei segue molto da vicino gli avvenimenti della Colombia, e gliene siamo riconoscenti. Noi colombiani siamo in maggioranza cattolici e sappiamo di dover contribuire a creare una società giusta. Cosa ci suggerisce per contribuire a risolvere i gravi conflitti – la guerra civile e il terrorismo - che il Paese sta attraversando?

So che l’attuale situazione è per voi colombiani fonte di sofferenza e che in un modo o nell’altro tutti ne pagate le conseguenze. Il pericolo è che qualcuno cada in una sorta di rassegnazione. Di fronte ai problemi non si può restare passivi. Bisogna cercare una soluzione senza stancarsi, senza perdere la speranza e con senso di responsabilità, adoperandosi - nel posto che ciascuno occupa nella società - per dare un contributo personale alla pace.

La pace è come un grande fiume alimentato da numerosi affluenti e sorgenti: tutti sono importanti. Bisogna svolgere un intenso apostolato a favore della pace; un apostolato che è la sintesi dell’orazione, dello spirito di comprensione e della collaborazione di tutti.

Prima di arrivare qui soffrivo per voi; ora che sono in Colombia soffro ancora di più. Il problema che angustia ora la Colombia riguarda anche il resto del mondo. Prego incessantemente la Madonna perché ottenga la pace per questa terra. La chiesa prelatizia dell’Opus Dei a Roma è intitolata a Santa Maria della Pace e, in fondo alla navata, c’è un candelabro votivo con candele sempre accese per invocare dalla Madonna la pace per ogni persona e per tutta l’umanità. Una di queste candele arderà in continuazione per impetrare la pace per la Colombia. Vi consiglio inoltre di rivolgervi all’intercessione del Beato Josemaría, grande amico e promotore della pace, e che ama molto il vostro paese. Vorrei tanto che molti lo invocassero per chiedere la pace per questa vostra terra.

Nei presenti sconvolgimenti sociali, quale dovrebbe essere, a suo parere, il ruolo dell’Università della Sabana e, più in generale, dell’Università?

Mi viene in mente ciò che rispose il Beato Josemaría a un giornalista che gli aveva rivolto una domanda analoga. Disse che l’Università non è estranea ai problemi umani. Essa è il luogo idoneo per acquisire la preparazione che permetterà di contribuire a risolvere i grandi problemi sociali e a difendere i diritti fondamentali della persona. Non dobbiamo comunque dimenticare che non c’è un solo modo di risolvere i problemi sociali. Per la soluzione di un problema specifico vi possono essere proposte diverse e tutte legittime. L’Università deve rispettare questa libertà per svolgere il suo ruolo nella società.

Giovanni Paolo II diceva anni addietro ad un gruppo di studenti universitari che “la Chiesa non ha pronto un progetto di università né di società; ha però un progetto di uomo, di un uomo nuovo rinato attraverso la grazia” (Omelia agli universitari, 5.VI.1979). Per questo l’Università deve far sì che gli studenti ricevano una formazione integrale e comprendano la grandezza di questo progetto di uomo nuovo rinato attraverso la grazia. E lo possono comprendere in modo vitale, iniziando liberamente – è una possibilità valida per tutti - un cammino personale di rinnovamento spirituale, con l’indispensabile aiuto dei sacramenti. Perché, lo sapete bene, scienza e fede avanzano tenendosi per mano. La fede che professate illumina il vostro lavoro intellettuale e la scienza che insegnate vi aiuta ad approfondire la fede.

La cultura attuale è quella dell’uomo moderno con i suoi progressi tecnologici e la facilità di comunicare, ma anche i suoi problemi. La concezione pluralista oggi dominante a volte sembra schiacciarci. Come possono coesistere la nostra identità e la costruzione del futuro con la fede e la ragione, come dice Giovanni Paolo II? Come essere cristiani nel XXI secolo?

Il pluralismo culturale non rappresenta un problema per i cristiani, ma una realtà da accettare. Il Papa in diverse occasioni ci ha sollecitato a portare a termine la nuova evangelizzazione anche nel campo della cultura. Non c’è alcun motivo di timore. Nella Lettera Novo Millennio Ineunte egli dice che “Nella condizione di più spiccato pluralismo culturale e religioso, quale si sta prospettando nella società del nuovo millennio, tale dialogo è importante anche per mettere un sicuro presupposto di pace” (n. 55). E più recentemente ha affermato che la globalizzazione “non è, a priori, né buona né cattiva. Sarà quel che la gente la farà diventare. Nessun sistema è fine a se stesso, e occorre insistere sul fatto che la globalizzazione, come qualunque altro sistema, deve essere al servizio della persona umana, della solidarietà” (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze sociali, 27.IV.2001, n. 2).

Il vero problema è dunque l’individualismo egoista e il Papa ci incoraggia a correggere questa nostra tendenza. “E’ l’ora di una nuova ‘fantasia della carità’, che si dispieghi non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre” (Novo Millennio Ineunte, n. 50). In questo senso, si può e si deve favorire nel mondo attuale la globalizzazione della carità, con l’aiuto della scienza, della tecnologia, delle arti e della facilità di comunicare. Ma non ci sarà solidarietà globale senza solidarietà personale.

La società attuale si caratterizza per la cura dell’immagine e dell’apparenza. La verità è considerata una cosa secondaria, talvolta sconveniente o antiquata. Si accetta la realtà quasi con una strizzatina d’occhio. Però è certo che senza verità non c’è spazio per una vita coerente. Che cosa possiamo fare per coltivare la verità ed essere coerenti?

In quanto universitari avete l’obbligo di ricercare e trasmettere la verità. Il cristiano coerente si rifiuta di convivere con la menzogna o con la frivolezza. Per questo i cristiani risultano scomodi in un mondo fatto di interessi, dove contano solamente il potere, il denaro e i simboli della ricchezza. Ma nel mondo ci sono molti “nostalgici” della verità. Anzi, in un certo senso, lo siamo tutti. Abbiamo “nostalgia” di una verità bella, pulita e trasparente: splendente, potremmo dire parafrasando il titolo di una enciclica del Papa. Chi di noi non desidera la compagnia di un amico sincero che dice la verità, che non ci inganna, che non è egoista, che ci aiuta e che ci corregge quando occorre? “Dire la verità con carità” è un detto cristiano capace di saziare la sete di questo nostro mondo.

Il suo recente libro ‘Itinerari di vita cristiana’ ha avuto un notevole successo. Com’è possibile un fatto del genere in questa società apparentemente così indifferente agli ideali? Quale tra i temi trattati nel libro vorrebbe particolarmente sottolineare?

Le donne e gli uomini di oggi hanno fame di Dio. Il Papa lo ha espresso bene dicendo che stiamo iniziando una nuova primavera cristiana. Abbiamo appena finito di celebrare il grande Giubileo dell’anno duemila, un anno di ringraziamento per l’Incarnazione del Figlio di Dio. E’ Gesù Cristo, come sempre, la novità permanente verso cui si dirigono tutti i nostri progetti, anche quelli del secolo XXI, riassumibili nell’espressione ‘riempire di significato cristiano la vita ordinaria’. E’ questo il nocciolo del messaggio del Beato Josemaría. Il libro ‘Itinerari di vita cristiana’ è nato a partire dalla mia esperienza di vita quotidiana accanto al Fondatore dell’Opus Dei tra il 1950 e il 1975: venticinque anni in cui ho visto il Beato Josemaría cercare, frequentare e amare Gesù. Con il libro ho voluto contribuire a far riscoprire il volto di Cristo verso il quale ci ha indirizzati Giovanni Paolo II durante il Giubileo.

Estratto // rivista Pensamiento y Cultura (Università della Sabana, Colombia)